”Non mi sono mai chiesto quanto ho perso per colpa del doping”: Vincenzo Nibali torna a parlare della sua carriera

A 40 anni, Vincenzo Nibali non è più solo un ex campione, è una voce lucida e profonda che racconta la propria storia con un distacco onesto, quasi disarmante. In un’intervista concessa al Corriere della Sera, il “Squalo dello Stretto” apre le porte del suo passato, ricordando l’infanzia vissuta tra le strade di Messina e quel confine sottile tra una vita sbagliata e una vita in salita, verso le vette del ciclismo mondiale.

«Ero un carusu dannificu, un bambino che combinava guai e attirava problemi come un parafulmine. Ho fatto esplodere metà delle cassette delle lettere del quartiere, rischiato la pelle con la macchina a pedali e lanciato un motorino contro un muro. Potevo finire male».

Ma per fortuna arrivano suo padre e la bicicletta. La svolta. La salvezza.

«Grazie a lui e alla bici ho scelto un’altra strada. Tutta in salita, letteralmente: Dinnammare, l’Etna, Novara di Sicilia. È lì che ho capito che sarei diventato ciclista».

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Non racconta una Messina cupa o mafiosa, ma una città con le sue crepe, dove la scelta sbagliata era dietro l’angolo. La realtà, per un adolescente, era più complicata di quel che appariva.

Nibali è stato il simbolo di un ciclismo silenzioso e onesto, quello che non fa proclami.

«Parlavo poco, non mi lasciavo andare nemmeno dopo le vittorie. Ho sempre vissuto con il freno a mano tirato, tranne che in bici. Forse il passaggio da ragazzino discolo a uomo maturo mi ha cambiato dentro».

Ha vinto tutto: GiroTourVueltaSanremoLombardia. Ma ha perso anche molto. Non solo l’oro olimpico di Rio 2016, caduto a pochi chilometri dall’arrivo.

«Alla Liegi nel 2012 arrivai secondo dietro a un kazako poi trovato dopato. Alla Vuelta mi giocai tutto con Mosquera, poi radiato. Ma mai mi sono chiesto quanto ho perso per colpa del doping. Mai fatto, mai pensato di farlo. Mi hanno controllato un milione di volte, anche dentro casa. A testa alta, sempre».

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