L’Unione Ciclistica Internazionale (UCI) ha avuto un ruolo fondamentale negli anni tra il 1999 e il 2005, quando Lance Armstrong vinse i suoi sette Tour de France grazie all’aiuto di sostanze definibili doping: è infatti accertato che alcuni membri dell’organismo internazionale avvisavano il corridore americano dei controlli antidoping. Nelle ultime settimane si è tornato a parlare molto di queste vicende, nonostante siano ormai passati vent’anni da quelle stagioni ciclistiche, nel corso delle quali Armstrong ha conquistato sette edizioni della Grande Boucle, revocate 10 anni più tardi.
Gli ultimi documentari che sono disponibili alla visione in tv, a cominciare da quello di Jan Ullrich, all’interno del quale si parla della vicenda personale che ha coinvolto il corridore tedesco, fino all’ultimo documentario di ESPN sull’ex corridore texano, hanno riacceso la discussione sull’utilizzo di sostanze dopanti in quegli anni. Come spiegato anche in un articolo pubblicato su La Gazzetta dello Sport, a cura di Ciro Scognamiglio, nel 2013 Armstrong dichiarò al Daily Mail: “Verbruggen (allora presidente dell’UCI, ndr) sapeva del mio utilizzo di sostanze dopanti e mi aiutava a nasconderlo. Fu una delle persone che mi permise di portare a termine il Tour 1999 nonostante fossi risultato positivo a un test (il riferimento è proprio al cortisone, ndr). Non ho intenzione di mentire per proteggere queste persone. Io li odio. Mi hanno buttato sotto il bus. Ho finito con loro”.
Lo stesso Verbruggen, che ha perso la vita nel 2017, dichiarò: “Alcuni corridori, tra cui Armstrong nel 2001 (l’anno di un giallo legato a un controllo al Giro di Svizzera, ndr), sono stati avvisati dall’UCI della presenza di anomalie nei loro valori ematici. Come altre federazioni sportive, questa era allora la nostra politica: ritenevamo che un avvertimento potesse consigliare loro un comportamento più corretto e riportarli nella norma. Erano nel nostro mirino, ma quelli non erano controlli positivi”.
Analizzando le parole di Verbruggen, si può capire che in quegli anni il doping all’interno dell’UCI – e all’interno di alcune altre federazioni – era tollerato senza grandi problemi, e avvisare un corridore di una positività era la norma, soprattutto se si trattava di uno degli atleti di spicco. Un modus operandi che va contro ogni regola fondamentale dello sport.
Ad oggi, tutti i corridori di quell’epoca hanno pagato a caro prezzo l’utilizzo di sostanze dopanti per migliorare le proprie prestazioni. Nonostante l’UCI abbia svolto un ruolo di copertura del doping nei confronti di Lance Armstrong, nessuno ha mai pagato per questo. Non bisogna dimenticare che proprio il texano ha fatto numerose “donazioni” in denaro all’UCI, le quali, a distanza di anni, si era capito che era un modo non per collaborare con le istituzioni, ma semplicemente un modo per chiedere aiuto e copertura.
Ad oggi, l’UCI continua a dettare legge, senza essersi ripulita la coscienza di quanto accaduto in quegli anni. Ed è l’unica istituzione che, ad oggi, non ha ancora pagato nulla per ciò che è accaduto.