Non è stato un bel modo per concludere l’ultima grande corsa a tappe della stagione. Benvenga che ci si sia inventati di fare una festa finale della Vuelta a Espana 2025 un po’ improvvisata: un podio montato di corsa, un roll up rimediato da qualche parte e un parcheggio a fare da sfondo al trionfo finale di Jonas Vingegaard.
Dopo tre settimane di fatica, con l’ulteriore aggiunta di non sapere mai se una tappa si concludesse o meno, viste le proteste pro Palestina che hanno caratterizzato questa edizione, non è stato bello vedere quelle scene di guerriglia a Madrid, città vestita a festa per il gran finale della corsa a tappe più amata dagli spagnoli.
Michał Kwiatkowski, campione del mondo a Ponferrada nel 2014, non le ha mandate a dire e ha inquadrato perfettamente la situazione: “Se l’UCI e gli organi responsabili non sono riusciti a prendere le decisioni giuste abbastanza presto, allora a lungo termine è molto brutto per il ciclismo che i manifestanti sono riusciti ad ottenere ciò che volevano. Non si può semplicemente far finta che non stia succedendo nulla. Ormai è chiaro per tutti che una gara ciclistica può essere utilizzata come tappa efficace per le proteste e la prossima volta andrà sempre peggio, perché qualcuno ha permesso che accadesse e ha fatto finta di niente. Peccato per i tifosi che sono venuti qui a vedere un grande evento. Personalmente avrei preferito sapere in anticipo che la gara è stata cancellata piuttosto che essere portato a credere che tutto sarebbe andato bene”.
Non è la prima volta che vediamo proteste nel corso di una gara ciclistica. Attivisti per il clima, persone licenziate dal lavoro e tante altre sono le motivazioni nobili che hanno spinto diverse persone a far sentire la propria voce durante le gare di ciclismo. Ma non si era mai arrivati a interrompere una gara nel bel mezzo del proprio svolgimento. per due settimane la corsa è stata vittima di chi ha deciso di protestare: lo ripetiamo, ogni idea deve essere portata avanti, ma il modo in cui si esprimono queste persone che hanno deciso di manifestare stanno sbagliando i modi. Non è fermando una gara di ciclismo, non è mettendo in pericolo i corridori, che riescono a far valere le proprie ragioni.
Anche perchè non mi risulta, ad esempio, che ci siano state delle proteste durante l’ultima partita di calcio della nazionale israeliana. Purtroppo, il ciclismo paga lo scotto di essere uno sport popolare, che può essere seguito da chiunque senza pagare il biglietto. Ecco perchè può diventare facile bersaglio di chi decide di manifestare.
Oggi sono i pro-Pal, domani può essere chiunque. Michal Kwiatkowski ha ragione: si è creato un precedente. Le gare di ciclismo devono essere messe in sicurezza e l’UCI deve fare davvero qualcosa di concreto, altrimenti le corse diventeranno un facile bersaglio da parte di qualsiasi manifestante.