Ci sono personaggi che passano nel mondo dello sport lasciando una traccia statistica, e altri che lasciano un’impronta nell’anima. Gianni Savio, scomparso esattamente un anno fa, apparteneva prepotentemente alla seconda categoria. Per decenni, la sua sagoma elegante, il linguaggio forbito e l’immancabile determinazione sono stati una costante delle corse più belle del mondo, dal Giro d’Italia alle strade polverose del Sudamerica.
Gianni Savio, un talent scout senza frontiere
Se oggi il ciclismo mondiale parla correntemente lo spagnolo delle vette andine, gran parte del merito va alla sua intuizione. Gianni Savio non è stato solo un team manager; è stato un esploratore.
Mentre il resto del mondo guardava alle accademie europee, lui volava in Colombia e Venezuela a scovare talenti puri. Nomi come Egan Bernal, il primo sudamericano a vincere il Tour de France, o Iván Sosa, sono passati attraverso le sue “cure” e la sua capacità di trasformare giovani promesse in campioni pronti per il World Tour. La sua maglia “Androni-Sidermec” (e tutte le sue declinazioni storiche) è stata per anni la culla degli attaccanti, di chi non aveva paura di scattare al chilometro zero. Senza dimenticare due storici capitani, i compianti Davide Rebellin e Michele Scarponi.
La filosofia del “Coraggio e Umiltà”
Savio ha gestito le sue squadre con una filosofia che oggi, in un ciclismo dominato dai petrodollari e dai super-team, sembra quasi romantica. “Attaccare sempre” non era solo una strategia di gara per ottenere visibilità agli sponsor, ma un vero e proprio manifesto di vita.
Le sue interviste ai microfoni della Rai o ai bordi delle ammiraglie restano leggendarie: un mix di garbo d’altri tempi e una grinta che non lo ha mai abbandonato, nemmeno nei momenti più difficili per le sue formazioni. Sapeva valorizzare i gregari trasformandoli in eroi di giornata e sapeva parlare ai campioni con la saggezza di un padre.
Un vuoto incolmabile in gruppo
A un anno dalla sua scomparsa, il ciclismo italiano sente la sua mancanza. Manca quella capacità tutta sabauda di tenere testa ai giganti con professionalità e inventiva. Manca la sua voce che annunciava un nuovo corridore scoperto chissà dove, pronto a far saltare il banco sulle rampe del Mortirolo o del Gavia.
Oggi, guardando quel traguardo dell’ultimo chilometro che dà il nome al nostro sito, ci piace immaginare Gianni ancora lì, con la radio in mano e lo sguardo fisso sulla strada, pronto a incitare un suo corridore in fuga.
Ciao, Gianni. Il “Principe” del ciclismo ci ha lasciati, ma la tua lezione di stile e passione resterà per sempre in gruppo.






